Epoca: | 1880 | Misure: | H 37 x L 26,5 x P 27 cm | |
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"Testa di Bacco" - Scultura in bronzo di Vincenzo Gemito (Napoli, 16 luglio 1852 – Napoli, 1º marzo 1929), scultore, disegnatore e orafo italiano.
Misure: H 37 x L 26,5 x P 27 cm
A Napoli era conosciuto come “’o scultore pazzo” perché tormentato e segnato da profondi squilibri psichici; in realtà si chiamava Vincenzo Gemito (Napoli 1852 – 1929), orafo e scultore che, a causa della sua condizione, fu spesso costretto a prendere lunghe pause dalla sua attività creativa. La sua vita non fu semplice fin da subito: venne abbandonato al suo destino dai genitori dopo essere stato deposto nella ruota degli esposti dello Stabilimento dell’Annunziata. Infatti, il suo vero cognome era Genito – ovvero generato – associato solitamente agli orfani, ma per un errore di uno scrivano la N divenne una M. Adottato e cresciuto in una famiglia poverissima, fin da piccolo Gemito dimostrò di essere dotato di un immenso talento per le arti plastiche. Il suo occhio attento amava soffermarsi soprattutto sulle scene dei bassifondi partenopei e i suoi soggetti preferiti erano bambini vestiti di stracci, popolane e giocatori. Alle Gallerie d’Italia di Napoli è conservato uno dei nuclei di opere più importanti dell’artista, proveniente dalla raccolta dell’avvocato Gabriele Consolazio: terrecotte, bronzi e disegni prodotti tra gli anni Settanta dell’Ottocento e gli anni Venti del secolo successivo. Le teste giovanili modellate in terracotta – come gli impressionanti “Scugnizzo”, “Fiociniere” e “Moretto” – testimoniano la sua tendenza al naturalismo. Molto più sofisticati i ritratti in bronzo di personaggi famosi, come quello del pittore spagnolo Mariano Fortuny e del suo contemporaneo Domenico Morelli. La sua instancabile ricerca plastica è rappresentata in particolare dalla “Testa di filosofo” e dal più tardo “Busto di fanciulla napoletana”, caratterizzata da un classicismo sensuale che ricorda le seduzioni e il virtuosismo dell’antica scultura ellenistica. Non meno splendidi i disegni realizzati con materiali e procedimenti diversi: Gemito, infatti, sapeva padroneggiare con la stessa abilità la matita, il carboncino, l’inchiostro, l’acquerello, la sanguigna e la tempera bianca. A Palazzo Zevallos Stigliano sono esposti i coinvolgenti autoritratti, spietate testimonianze dei dolorosi cambiamenti della sua fisionomia negli anni; un’altra importante serie in mostra è costituita dalle figure di donne dove è possibile osservare la ricerca di stile ispirata a modelli seicenteschi che hanno reso Vincenzo Gemito l’ultimo seguace del naturalismo napoletano.
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